Sabotaggio

Più cose urgenti hai da fare e più la tua mente ti boicotta. È una proporzione indiretta che lega l’esigenza di concentrazione alla voglia di procastinare in modo quasi vergognoso. Per questo, davanti ai libri, di sera, con l’esame alle porte, ecco che la mia mente va da un’altra parte, in un posto totalmente a sbagliato, dove non vorrei mai tornare. E allora, penso.
Alcune cose nella vita sono dei veri e propri proiettili. Ti lasciano uno squarcio enorme in petto e, per quanto tu possa curarti, gli strascichi di quell’incidente te li porti sempre dietro. Siamo frutto di tutte queste cose sommate insieme, attenti a non farci riaprire le ferite, consapevoli o meno del nostro modo di reagire agli eventi. Come/cosa sarei senza tutta questa armatura? Quale sarebbe la mia identità, immacolata e non inquinata dalle proiezioni esterne? Ma soprattutto: è possibile non sporcarsi? Mantenersi sempre distaccati, ricominciare da zero ogni volta, via, cancella, prendi un altro foglio e riscrivi…? e riscrivi…? Ma sarebbe positivo? Sarebbe solo un comportamento ingenuo?

Non lo so. Non lo so.
Io sono specchio di frustrazioni esterne, raccolgo in me parti di altri che quegli altri non volevano, vomitandomele addosso, lasciandomi corrodere dagli acidi. Sono vaso per le opere di carità, a volte qualcuno mi lascia un’offerta o anche semplicemente un sorriso, passando. Spero di coltivare qualcosa per ridare indietro altrettanto. Sono pozzo, pozzo da cui tanti hanno attinto tanta acqua, lasciandomi senza. Ma come faccio a coltivare, allora? Non c’è acqua, e la terra è acida…

Più cose urgenti hai da fare e più la tua mente ti boicotta.

Che ne sarà delle cose che furono?

Tempo fa ho avuto un bel botta e risposta con una bella persona.

 

“Ed eccomi nella stanza della malinconia fatta di mobili che puoi soltanto guardare ma dai quali nulla puoi trarre se non per pochi secondi di fervida fantasia.. quella fantasia che mal si arrende al divenire.. eppure ci sono dottrine che affermano che nulla passa e che tutto è già compiuto, che tutto è fermo … Immobile e che mai si è mosso poiché nella sua eternità non può evidentemente fare altrimenti…ma mi chiedo quale peso possono mai avere le azioni ed il sentire umano se non quello dell’impermanenza ? È dunque illecito pensare che questi facciano parte di quell’immobile che tutto contiene, ed è forse più saggio credere che tali azioni e sentire si limitano all’irrealtà.
Ogni cosa che cessa di esistere ai nostri occhi per certi versi è come se non fosse mai esistita.
Si potrà obiettare che in molti l’hanno vista , immortalata, ricordata o che archeologi della memoria potrebbero risalire al suo breve passaggio… ma quando tutte queste persone e discipline spariranno a loro volta che ne sarà delle cose che furono?
Ne sarà che mai furono che non sono è mai saranno”

“Non credo. Ciò che è stato, anche quando cessa di essere, lascia in noi, nell’ambiente, qualcosa. Mi ricorda la teoria della memoria dell’acqua, secondo la quale le molecole di idrogeno sarebbero in grado di ricordarsi i luoghi in cui sono state (mari, laghi, cessi) e, durante il ciclo dell’acqua, tornerebbero sempre lì. Mi piace pensare al nostro cervello come una macchina fotografica, con una pellicola che viene “impressionata” dall’esterno e modifica la sua composizione naturale, creando un’immagine permanente in noi. Banale il parallelismo tra la fotografia ed il ricordo delle cose, ma mi piace il termine “impressionare”. Rende bene. Non è ricordare, non è un imparare a memoria: è un’emozione puntuale che in un momento ha scaturito qualcosa in noi, ed ora, quando capita di ripensarci, ci ri- impressioniamo.
Prendimi per stupida, sensibile, romantica, quello che vuoi. Ma la versione cinica di “ciò che sparisce smette di essere” non mi piace, è debilitante e irrispettosa. Colgo dall’universo qualsiasi esperienza può darmi, e quando chi o cosa me l’ha trasmessa se ne va, rimane in me. Io rimango portatrice. Sono un vaso. Ho un ruolo, e quella persona o cosa pure.
Tutto molto scintoistico, non trovi?”

 

Te ne sono grata.

 

Volvonauta

Come si può creare un dolore così grande?
Come si può far finta di niente?
Come si può essere così poco umani?

“Mi affogherei…”

Sono io. Io creo le situazioni. Io do potere/peso, alle cose/persone. Che poi mi si ritorcono contro. Come si fa a volersi così male?

“e anche se non c’è miele/
mi viene dolce/
e penso sempre lo stesso…”

Desidero non provare più nulla. Trasformarmi in una macchina. Un impeccabile strumento raggiungi obiettivi. Studiare, lavorare, sorridere. Riavvolgi il nastro, ripeti. Studiare, lavorare, sorridere. Annuire agli amici, dire quello che gli altri vogliono sentirsi dire, stare dentro i propri spazi. E non lasciar entrare nessuno.

Ora lo vedo. Lontano, lontanissimo. Ma lo vedo. Lo devo vedere, e lo voglio raggiungere. Sta succedendo di tutto affinchè non lo raggiunga. Ma io lo vedo. E obstinata mente perfer, obdura, Miser Catulle che non sono altro. Me lo devo.

“Sto bene se non torni mai/
Sto bene se non torni mai/
Sto bene se non torni mai…”

Il giusto peso

Non so se il problema sia che se ne parli troppo poco o in modo sbagliato. Non sono qui per discutere di questo. Vorrei solo sfruttare questo mio piccolo spazio per dire (soprattutto dirmi) una cosa: date il giusto peso. A tutto. Alle persone, alle cose, ai gesti, alle parole. A voi. A te. Sono una ragazza in gamba, dicono, abbastanza intelligente, simpatica, ironica, anche seria e responsabile, un po’ timida, un peletto orgogliosa, sensibile, molto empatica. E poi soffro di disturbi alimentari. Poi. Ma io sono tutte quelle altre cose citate prima, ed è questo che devo imprimermi nella testa. Non è quell’immagine allo specchio che non riesci a sostenere con lo sguardo, non è quel numero, non sono i pacchetti di cracker che ti sei mangiato in un giorno. Io, voi, siamo di più, sì, siamo molto più pesanti di quello che pensiamo. Perchè valiamo, ed ogni cosa di valore pesa.

Per favore, date il giusto peso alle persone. Non si può mai sapere

-da dove veniamo chi siamo dove andiamo-

Malessere.

Ho come una grossa radice sul petto, aggrovigliata, che mi leva il respiro. Sento che vuole uscire, che punta sulla mia cassa toracica e spinge: come una farfalla che vuole evadere dal suo bozzo. Solo che non credo che quello che uscirà dal mio, di bozzo, sarà una bella creatura variopinta ed effimera. Mi spaventa. Potrebbe distruggere le cose intorno a me, e quindi la tengo dentro, lasciando distruggere me. Mi sento ammuffire, devitalizzare. Questa radice marcia si è innestata in me e mi succhia le energie vitali. Non studio non esco non parlo. Ascolto musica. E scrivo.

Ma come c’è entrato il seme di questa pianta in me? E perchè, poi, in me?

Forse, però, la metafora con la radice non è corretta. Dovrei sentirmi stabile, no? “Radicata”, appunto. Ed invece. Dove sono? Non mi localizzo. Mi sento persa nella mia testa, mi sento persa nei miei passi sul marciapiede -l’asfalto si sgretola-, mi sento persa lungo la strada verso casa, dopo lavoro. Tremo, mi scuoto, per cercare di capire se c’è qualcosa, ancora, qua dentro. Per poi rompere il salvadanaio, in caso.

Ma i giorni passano, e gli occhi sono pesanti, bruciano. Le zanzare ronzano nelle orecchie e succhiano sangue. L’aria crolla sopra la mia testa, l’afa porta giù la pioggia dal cielo, tutto scroscia ed eccomi, finalmente, a terra. Ecco dove sono. Sul fondo.

Step right this way

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Svettare su cieli nuvolosi. Aspettando il sole.
A volte ci si sente soli, abbandonati, impietriti dentro un corpo freddo. Come se tutti ci vedessero, ma nessuno ci guardasse. Siamo tutti uguali, alla fine. Quando in autobus mi siedo vicino ad uno sconosciuto, lui, per me, sconosciuto è e sconosciuto rimane. Un guscio seduto di fianco a me, che occupa spazio, tenendo caldo il posto. E allora penso: anche io sono così per lui, no? Sto qui, anonima, ad “occupare spazio”. Lo trovo ingiusto. Essere anonimi, intendo. Credo sia una cosa tanto irrispettosa quanto crudele. Che fare, quindi? Iniziare a parlare della mia vita a tutti quelli che incontro in autobus? Quanto ci vorrà prima che mi rinchiudano in un ospedale psichiatrico?
Forse così hanno iniziato i matti che popolano i pullman urbani. Ok. Se questa deve essere la mia prospettiva, l’accetto. Almeno ho un futuro.

Quanto è comodo l’anonimato, però. Non trovate? Zero responsabilità, zero rischi di farsi male, zero impegno. Qualcuno pensa per noi, qualcuno decide per noi, e noi dobbiamo solo fare i compiti. A volte, ammetto, mi ci rifugio. A volte preferirei essere uno dei tanti gusci vuoti che popolano questo mio autobus immaginario (mi è venuto in mente il Magical Mystery Tour dei Beatles, il film, per la precisione). Ma, purtroppo o per fortuna, non fa per me. Tra tutti gli eggmen, rimango un warlus.

Il tempo cura le ferite e ne apre di nuove.

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Ed è giusto -se non meglio- così.

Che tu sia triste o felice, sii consapevole di te. Di ciò che puoi e non puoi fare. Sii sincero, sii giusto, sii onesto con te stesso. Non mentirti, non illuderti (almeno, non troppo).
Tu sei il tuo peggior nemico ed il tuo migliore alleato.

Datti da fare.

ZTL

Alcune cose, per quanto tu possa provarci, rimangono uguali.
Sembra un gran gioco da tavola in cui le regole rimangono sempre le stesse. Le pedine, le carte, le sfide. Anche i numeri che escono dai dadi. Tutto uguale.

Perchè continuare a giocare, allora?

Che tu sia un sognatore, un illuso, uno schizofrenico o semplicemente una persona irrazionale.

Perchè continui a giocare?
Non ti stanchi, dopo un po’?

Energia sprecata. Sì, solo tanta energia sprecata.

E sì, lo so. Contraddittorio, vero? Beh… prevedibile anche questo. Bella merda, sì. Ma così è come funziona il mio gioco da tavola.
Mi ritrovo a letto, con le mani sugli occhi, a chiedermi come caspita sia possibile che sia ancora, di nuovo, sempre a questo punto. Non voglio alzarmi, non voglio uscire. Voglio solo che tutto passi, tanto so come andranno le cose. Dopo tutto quello che è accaduto, sono sempre, inesorabilmente, costantemente qui. E a chi mi dice “ma non ti arrendere, vedrai che ce la farai” abbozzo un sorriso ed annuisco. Perchè non ho neanche più voglia di parlarne, ormai.

E a chi mi dice che sono una persona positiva: abbozzo un sorriso ed annuisco. Tutto sembra molto bello finchè non accedi alla mia zona a traffico limitato.
Attenzione, pericolo caduta massi.

Anno nuovo, vita…?

Mi accadono sempre più cose, ultimamente, sempre più circostanze, sempre più situazioni in cui mi viene da pensare che non vado bene. Seduta sul muretto della mia vita, con le gambe incrociate e le dita tamburellanti sul mento, attendo. Ed accumulo accumulo accumulo sempre più rabbia rabbia rabbia perché, che cavolo, perché non lo faccio, sto passo? Perché non scendo da sto muretto? Perché… perché se ci provo… eccole, di nuovo, le cose. E le cose per cui io sono sbagliata, sottolineo. Ma, sempre ultimamente, mi accadono anche altre cose, diciamo imprevisti, sì, insomma, cose per cui non ti prepari e quindi, beh, dai, come si fa ad essere sbagliati anche per cose che non ti aspetti? Devi essere proprio sfigato bene, ok, e ve lo dice una che con la sfiga ci va a braccetto. Però… però a volte, di rado eh, quasi mai eh, non diciamolo troppo forte eh… però a volte sì, capita, capita che sei pronta. Che vai bene per l’imprevisto. E… e chi lo avrebbe mai detto? Va a culo, sì, va palesemente a culo, ma non lo puoi sapere. Quindi: coraggio. Io ne ho strabisogno, perché oltre sfigata sono anche una cagasotto terribile. Ma su. Iniziamo questo anno con un pensiero differente. Ora è il momento. Ditemelo forte ogni mattina, urlatemelo mentre mangio la mia avena insipida a colazione.
Coraggio.
Coraggio.
Prendete questa rabbia che avete con il mondo (perché so che l’avete un po’, e che cavoli, vi va tutto bene a voialtri?) e riscattatevi.
Coraggio.
Coraggio.
Coraggio.

Feliz año nuevo!